“Vamos” in scena al Teatro Ghione. Con Paolo Sassanelli e Dino Abbrescia, regia Susy Laude, testo Andrej Longo.
Il Teatro Ghione di Roma, presenta, domenica 8 maggio, lo spettacolo Vamos con Paolo Sassanelli e Dino Abbrescia, regia, Susy Laude, testo, Andrej Longo.
“Vamos” in scena al Teatro Ghione. Mimmuccio ha trascorso quasi trent’anni alle dipendenze di Mazinga, boss malavitoso che gestisce il mercato della cocaina tra il Basento e la Puglia.
Da quando era ragazzo, insieme a Michele, suo amico e collega di lavoro, Mimmuccio ha prelevato settimanalmente la cocaina e ha preparato le dosi che poi venivano smistate ai piccoli spacciatori.
Un incarico delicato, svolto con discrezione e senza creare mai problemi. La sua efficienza,però, non è bastata a guadagnarsi la stima del boss.
Che continua a pagarlo una miseria.
E a trattarlo con i modi sprezzanti che gli sono tipici. Mimmuccio non si è mai ribellato al suo padrone, ma nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, decide che il momento di cambiare vita è arrivato.
E con i risparmi che ha messo faticosamente da parte, si accinge a lasciare il suo paese e la sua terra natia.
Per salpare verso le mitiche isole Galapacos, isole che ha scoperto sul web e di cui sa ben poco.
Ma con quel nome, Galapacos, per forza devono essere isole straordinarie. Mimmuccio però non se la sente di partire da solo.
Né vuole portarsi la moglie, che lo tradisce da anni. E neppure il figlio, che lo deride e gli manca di rispetto.
Perciò, in questo viaggio epico, reale e immaginario al tempo stesso, Mimmuccio decide di portarsi l’amico Michele, che, come lui, è stato sfruttato per una vita da Mazinga.
Così gli dà appuntamento in un casolare semi abbandonato e, tra una birra e l’altra, lo mette al corrente del suo progetto.
Michele però rifiuta l’invito dell’amico, perché teme che, assentarsi per una vacanza, possa indurre Mazinga a sostituirlo con qualcun altro, e di conseguenza lui perderebbe quel lavoro che gli permette di sopravvivere.
“Tu non hai capito niente, Michè” dice Mimmuccio all’amico “Noi non ci facciamo una vacanza, ce ne andiamo per sempre”. “Per sempre?” chiede sorpreso Michele.
“Per sempre, sissignore”. “E con quali soldi partiamo?” chiede Michele scoppiando a ridere. Ride, Michele, perché Mimmuccio ancora non gli ha detto a quanto ammontano i suoi risparmi.
Non gliel’ha detto perché prima ha voluto sincerarsi che l’amico lo seguirebbe.
Ora che però ne ha la certezza, glieli può mostrare quei risparmi.
E da una valigia, tira fuori venticinque bottigliette di plastica da mezzo litro. Michele lo guarda perplesso.
Pensa pure che l’altro si è un poco scimunito. Ma Mimmuccio, senza dire una parola, gli fa assaggiare il contenuto di una delle bottiglielle.
Cocaina! Cocaina purissima.
E ce ne stanno tredici chili conservati dentro a quelle bottigliette. “Ma come cazzo è possibile?” chiede esterrefatto Michele.
Mimmuccio, allora, gli spiega che da venticinque anni, da quando cioè il padre è morto, povero e abbandonato da tutti, ha deciso che la stessa fine sua non la voleva fare.
E ad ogni consegna della cocaina, dal chilo di roba che riceveva, ha prelevato dieci grammi, sostituendoli con dieci grammi di polvere di marmo, quella stessa polvere di marmo che ha distrutto i polmoni del padre.
A questo punto nulla più sembra impedire la partenza dei due. Ma ecco che di colpo Michele tira fuori la pistola.
Lui, infatti, è lì per ammazzare Mimmuccio. Perché Mazinga, sospettando qualcosa, lo ha incaricato di appurare la verità, recuperare la roba e poi eliminarlo. Mimmuccio diventa una furia.
Il tradimento dell’amico lo ferisce più di ogni altra cosa. Lo insulta. E tra un insulto e l’altro rievoca il passato, ricordando tutte le cose che hanno diviso insieme.
Alla fine Michele si commuove, si mette perfino a piangere. E decide che non lo sparerà. Però adesso c’è un altro problema:
Mazinga, con i suoi uomini, è appostato nelle vicinanze del casolare, pronto a intervenire.
E allora? Mò che si fa? Deve pur esserci una possibilità di salvezza.
E intanto che pensano alla salvezza, sniffano coca, bevono birra, sniffano ancora… “Oh, Mimmù, m’è venuta n’idea” dice a un certo punto Michele.
L’idea sarebbe di prendere la pistola, metterci un solo colpo dentro, e alla maniera della roulette russa giocarsi la vita.
“Facciamo decidere al destino” spiega Michele “e poi, chi sopravvive, dice a Mazinga che l’altro era quello che rubava la roba.
Gli porta un paio di chili di cocaina e dopo, quando la situazione si è calmata, ritorna al casolare a prendersi i dieci chili di coca rimasta”.
“A me mi sembra proprio un bello piano del cazzo” risponde Mimmuccio. “E vabbè, Mimmù, però così almeno uno di noi due se ne vede bene.
Oh, se tieni paura però e non te la senti, non fa niente, pensiamo un’altra cosa”. “Io tengo paura? Io? Beh carica la pistola che cominciamo”.
E così a torso nudo, completamente strafatti, in un’atmosfera di esaltazione sempre più folle, la sfida a colpi di pistola comincia.
Prima di ogni colpo, però, i due amici evocano un ricordo, una confessione, una promessa, in un gioco che pare non avere mai fine.
Ad interrompere quel gioco, è la confessione di Michele ecco però la telefonata di Mazinga che chiede ragione di quel ritardo.
Michele balbetta una scusa, si umilia, ma Mimmuccio gli strappa il telefono di mano e lo butta con rabbia contro il muro.
Poi, con calma, si avvicina al tavolo, apre il caricatore della pistola e infila tutti i proiettili.
“Sei pronto?” chiede all’amico? “Sono pronto” risponde Michele. Si avvicinano al tavolo e si fanno un ultimo tiro di coca.
Se lo fanno immergendo proprio la testa nella coca.Poi si dirigono decisi verso la porta: Mimmuccio con la pistola in pugno, e Michele armato di coltello.
Prima di aprire la porta si guardano ancora.E ridono senza riuscire quasi a fermarsi. Poi Mimmuccio spalanca la porta ed entrambi, gridando come due pazzi, si lanciano contro Mazinga.
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